martedì 13 gennaio 2009

Quando i bimbi di Vukovar volarono in cielo


Croazia, 1991.

E' il fantasma di una città, Vukovar, ed i miei passi risuonano secchi tra i muri che mi osservano dalle loro nere occhiaie impaurite; i passi si ripetono con mille eco e quasi sembra che le strade ricomincino a riempirsi di gente frettolosa… ma non c’è più nessuno a Vukovar.

Case sventrate in cui gli alberi hanno già affondato le radici nei pavimenti divelti, e stendono i rami dalle finestre come braccia in cerca di libertà; finestre inesistenti, rigate di nero per il fumo che ne ha divorato i telai, i vetri scomparsi nella violenza delle esplosioni nelle terribili notti di orrori.

Vukovar è disseminata di queste finestre che sembrano quadri di autori bizzarri: nature vive su cornici morte. Scorgo dietro una casa diroccata un branco di cani randagi riuniti in una temibile banda; la rivoltella che mi hanno raccomandato di portare è una rassicurante presenza. Nella piazza le aiole sono invase da sterpaglie spinose e secche, grossi ratti occhieggiano dalle crepe profonde aperte dalle granate sulle strade d’asfalto sconnesso; un cielo freddo tenta di illuminare la città morta, bruciata dalle bombe incendiarie; una folata di vento gelido, lamentoso, percorre la piazza, solleva la polvere, agita le sterpaglie rinsecchite, scompare tra le case sbrecciate; la fontana asciutta che sembra una meridiana, non riesce a segnare l’ora nella triste luminosità diffusa. Siedo sulla panchina di pietra stranamente intera; là c’era il mercato, ed era un vociare di donne e bambini, profumo di frutta e tintinnare di monete, aroma di vini ed olio, fragranza di pane sfornato da poco; improvviso un sibilo, un’immane esplosione, poi solo sangue, lamenti e pianti, preghiere in una lingua difficile, dei perché cui Dio non avrebbe risposto.

Assorto nei miei pensieri, percorro con gli occhi la piazza deserta ed una solitudine immensa mi pesa; a Vukovar c’è il nulla, è scomparsa persino l’ombra, non ci sono i tetti, bruciati dal fuoco delle bombe e dall’odio. Sotto quel cielo la mente si perde e le grida di migliaia di anime nel loro dolore inspiegabile si ripete nella piazza, scivola tra le case, si immerge nelle strade deserte, nella città che non c’è più; non riesco a tenere gli occhi aperti, nella luce fredda e le lacrime sembrano gelare prima di rigare il viso. Filtro il mondo stringendo le palpebre, per proteggere almeno l’anima, senza riuscire a misurare la mia tristezza in questa incommensurabile devastazione.

La scuola crollata ed incendiata davanti a me è una visione triste; i bambini non si sono nemmeno accorti di morire: un sibilo, uno scoppio e una fiammata azzurra, poi rossa e infine gialla e in quel fumo Vukovar ha concluso la sua storia.

Un campanello: dalla scuola distrutta, senza tetto, senza finestre esce il trillo e un vociare di bimbi e passi che scuotono i pavimenti e corrono giù dalle scalinate sconnesse. Una folla di scolaretti, dai grembiuli azzurri bruciacchiati, lisi e strappati, calzoncini laceri, piedini senza scarpe, gambe esili, pallide e contuse: alzo lo sguardo, i visi magri con le occhiaie profonde segnate dall’orrore, sono tutti qui, di fronte a me… Uno, tra i più grandicelli, mi si avvicina:

- Ali Vi ste novi učitelj, gospodin?
- Ne, dječi, nisam, no, bimbi, non sono il nuovo maestro. Non verrà più nessun maestro.
- Ne? Za što?
- Non lo so il perché, nisam za što.
- Naš učitelj je umirao, mi čekajmo novi učitelj.
- Lo so che è morto, ma non dovete aspettare.
- Ne? nijedan učitel ču doći, gospodin?
- E’ così, bambini, nessun maestro verrà, sada idite, dieči. E’ ora di andare.
- Ići? Gdje, gospodin?
- Là, bambini, ondje, tamo gore, lassù.

ed indico con la mano il cielo sereno, non più freddo, ma azzurro e gentile e decine di bimbi con i grembiuli azzurri si prendono per mano ed iniziano a volare, come passeri in fila; lentamente si innalzano e salgono dalla piazza, come foglie portate dal vento e svaniscono nella luce; quello che sembra il più grandicello, mi saluta con una mano e sorride:

- Zbogom, gospodin, mi idemo tamo gore… Certo, addio, andate, bambini, vai anche tu, svelto.

Ed anch’egli prende il volo, scompare lentamente nella luce ed il sole freddo riprende a illuminare di luce gelida la città deserta. Non c’è più proprio nessuno, adesso, a Vukovar e mi sento solo, non mi sono mai sentito così, assurdamente, orribilmente solo.

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